Chantal come nasce il tuo libro di memoria e ricerca della verità, del periodo stragista, i così detti Anni di Piombo?
Il mio libro altro non è che la mia tesi di laurea magistrale. Mi sono laureata in Scienze politiche presso l’Università della Calabria. Il mio scopo era quello di far memoria, portando alla conoscenza delle molte storie dimenticate e cancellate dalla memoria collettiva del nostro paese. Nel corso del mio studio mi sono imbattuta in persone speciali che mi hanno permesso di entrare nelle loro vite e nel loro dolore, penso a Lydia Franceschi, Claudia Pinelli e soprattutto a Carla Verbano. Sono storie che mi sono entrate dentro e non ne sono più uscite. La tesi come il libro li ho dedicati a Carla e Valerio Verbano e a tutti quelli che ancora lottano per appurare la verità.
Hai costruito il libro raccogliendo documenti e interviste? Se puoi spiegarci come è scritto e costruito?
Il libro va detto subito è un libro partigiano, di parte, volto ad indagare una certa famiglia politico ideologica quella della sinistra extraparlamentare. Consta di tre parti: la prima prettamente sociologica in cui passo in disamina varie teorie sul comportamento collettivo e i movimenti sociali. La seconda parte è la mia interpretazione del periodo che è stato fatto passare in maniera criminale, oscurando quanto di meglio quel periodo ha apportato alla nostra società, come Anni di piombo. Cerco di decostruire questa brutta definizione con la quale si vuole ammantare con un velo nero un periodo che fu invece di grande fervore creativo, di lotte, di conquiste, di ideali, il cosiddetto assalto al cielo da parte di tanti giovani. Un paragrafo l’ho dedicato a Carla e Valerio Verbano. Ci saremmo dovute incontrare con Carla ma il tempo ha giocato a nostro sfavore non ci siamo riuscite, lei se n’è andata il 5 giugno 2012 lasciando in me un grande vuoto. Ma è anche il periodo in cui l’eversione nera stringe patti con la ‘ndrangheta. Anche questo racconto nel mio libro. La terza e ultima parte è quella a cui sono molto legata: le interviste. Ho intervistato familiari delle vittime, protagonisti del periodo, giornalisti, scrittori sociologi e con loro ho cercato di approfondire aspetti diversi ma uniti da un unico filo conduttore, la ricerca della verità. Tra i miei intervistati: Claudia Pinelli, Lydia Franceschi, Franco Piperno, Silvano Agosti
Ritieni che su quegli anni si sia fatta luce abbastanza o c’è ancora molto altro da dire e da scoprire?
Su quegli anni di luce non se n’è fatta proprio, basti pensare che ad occultare tutto persiste uno scandaloso segreto di Stato. Sinceramente mi fanno ridere le promesse dei vari rappresentati istituzionali durante le cerimonie di commemorazione delle vittime nelle quali promettono un impegno per aprire gli archivi ancora secretati. E poi quel periodo a scuola non viene neppure studiato. Si sta attuando una cancellazione della memoria non solo individuale ma soprattutto collettiva. Vanno avanti i soliti luoghi comuni, una storia ufficiale, che di ufficiale ha solo il sangue di chi in quel periodo ha perso la vita in stragi o ammazzato dalle forze dell’ordine e dai neofascisti. Esiste una storia altra che merita di essere conosciuta, indagata.
Le responsabilità dello Stato italiano rispetto alla strategia della tensione non sono mai emerse con chiarezza e forza, tu cosa pensi?
Lo Stato è fautore e mandante delle stragi che insanguinarono il nostro paese anche se di volta in volta ha scelto chi utilizzare come proprio braccio armato: non solo neofascisti, forze dell’ordine, servizi, ma anche le mafie. Uno stato assassino che per l’autoconservazione del potere decide scientemente di sterminare i propri cittadini attraverso atti vili su cui ancora oggi non si sa la verità, ergendosi a boia e a giudice e auto-assolvendosi ogni volta. Uno Stato che nega queste verità non è uno stato democratico, ma uno stato autoritario i cui abitanti non sono cittadini ma sudditi della menzogna.
E quanta coscienza storica e politica secondo te ha il popolo italiano rispetto alle vicende degli anni 70′?
Il popolo italiano soprattutto nelle sue fasce giovani non ha alcuna coscienza storica e politica di quelli che furono gli anni Settanta. Si tende a dimenticare sopraffatti da quel potere edonistico dei consumi e dei media denunciato già all’epoca da Pasolini. Le persone e le giovani generazioni sono narcotizzate e assuefatte al sistema tv in cui è sempre meglio apparire che essere, in cui l’individualità non esiste più anzi è surclassata dall’omologazione a tutti i costi.
Franca Rame in una delle sue ultime interviste ritiene che quegli anni non siano mai finiti, condividi questo pensiero?
Lo condivido nella misura in cui ancora oggi siamo all’oscuro di tanti avvenimenti che quotidianamente ci vengono celati, in uno stato sempre e comunque solo di facciata democratico. Non vedo però movimenti capaci di inglobare e portare avanti le lotte. Non ci sono più ideali forti che servono da connettori tra gli individui che vedo al contrario sempre più soli e isolati. Ormai i movimenti attuali hanno il sapore dell’effimero tempo qualche mese e quello che era movimento svanisce o peggio ancora si istituzionalizza.
Obiettivi del tuo libro, memoria, ricerca della verità e anche informare le nuove generazioni?
Gli obiettivi del mio libro sono molteplici ma non me li sono prefissati dall’inizio del mio lavoro, sono giunti pian piano parola dopo parola, incontro dopo incontro, impattando contro storie che chiedevano di essere raccontate. Naturalmente ho scritto prima per me stessa, una necessità che pervade tutto il mio essere quella dello scrivere. Avevo voglia di raccontare e raccontare in un certo senso anche di me. Nonostante i miei 27 anni sento quegli anni che non ho vissuto come miei, bruciano sulla pelle come ferite mai rimarginate che sanguinano ogni qualvolta la “criminalità politica e intellettuale” del nostro paese getta fango su storie e vissuti collettivi. A me basta una canzone, uno slogan, un’immagine per ritrovarmi catapultata in quelle piazze. Naturalmente un punto fermo è quello di fare memoria e di ricercare la verità. Mi sono seduta a ragione dalla parte del “torto”, dei perdenti, dei dimenticati. Mi sono seduta accanto a loro, ho ascoltato i loro silenzi. I silenzi di coloro i quali hanno subìto la storia scritta da vincitori assassini e stragisti, che hanno cancellato con il loro meschino operato intere esistenze, interi vissuti restituendoci un paese senza memoria. Credo che ognuno di noi dovrebbe fare questo, decidendo di andare oltre, in direzione ostinata e contraria.
Un messaggio che vuoi dare ai giovani e non solo, anche con il tuo lavoro.
I giovani non si devono lasciare omologare e raggirare dal potere che li vuole ignoranti e disinteressati. Dobbiamo (mi ci metto anch’io) riprenderci i nostri spazi, i nostri vissuti e le nostre esperienze. Bisogna diventare partigiani della memoria. Dobbiamo creare le condizioni necessarie per una nuova Rivoluzione culturale e tentare nuovamente l’assalto al cielo.